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“La voie Royale” (2023)
di Frédéric Mermoud[1]
La terza pellicola di
Frédéric Mermoud narra il sogno di Sophie (Suzanne Jouannet, già protagonista de
“Les Choses humaines” di Yvan Attal), una ragazza diciassettenne che desidera essere
ammessa nel prestigioso Politecnico di Lione. Un singolare coming of age, caratterizzato da un contesto freddo e
competitivo e dalla smania razionale di un sogno.
Sophie, proviene da una famiglia
semplice, che vive in campagna e gestisce un allevamento di suini. Al liceo Sophie è molto dotata, in
particolare in matematica, e viene spronata dal suo insegnante a lasciare la provincia per andare a Lione, in un
importante scuola preparatoria dedicata a chi intende proseguire gli studi nelle “Grandes
Écoles”, università ambite e prestigiose, come la Normale o il Politecnico. Sua
madre (Marilyne Canto), la sostiene all'inizio dell'anno scolastico, commossa e teneramente colpita da
questo salto anche sociale.
Catapultata nel nuovo mondo,
Sophie diventa presto amica di colei che è simile alla sua compagna di stanza, la brillante Diane (Marie
Colomb). Il film è infarcito del vocabolario delle “Grandes Écoles”, per cui
gli studenti sono "moles", "hazes" o "sup" se del primo
anno, "spé" se del secondo. La via reale del titolo è, paradossalmente, quella
della meritocrazia e non della monarchia. Gli studenti sono selezionati per la loro eccellenza accademica ed
emulati da un insegnamento che coniuga quantità (settanta ore di studio settimanali) e standard elevati,
con un'intensità che sfiora l'ambivalenza: ci si chiede se l'obiettivo sia quello di
spezzare gli studenti umiliandoli o invece di farne una selezione naturale darwiniana, come suggerisce uno degli
studenti davanti all'insegnante di fisica (Maud Wyler), che li mette sotto pressione e di fronte al senso
di inadeguatezza, al desiderio di fuggire allo studio sfrenato e disperato di leopardiana memoria.
In queste “lezioni
preparatorie” si scatenano battute sessiste, vengono messe in scena dai due protagonisti che ricambiano
gli scherzi senza perdere un colpo. Più sensibili sono quelli legati al ceto sociale, con i borsisti
nominati e individuati fin dal primo incontro di presentazione, e il primo scontro tra Diane e Sophie riguarda
il movimento dei “Gilet Jaunes”, con cui è impegnato il fratello di Sophie, che ha
preso il posto dei genitori nella gestione dell’azienda agricola, anche vista la crisi economica che
attanaglia il settore. Le lezioni preparatorie ci ricordano che i diplomati della X (Politecnico) rappresentano
il potere e il denaro in Francia, sono tutti “bianchi”, come le mutande che uno studente mostra con
orgoglio e l'assoluta assenza anche di un volto “nero”, che appare per la prima volta alle
soglie della X.
Il risultato dell’opera di
Mermoud è un coming of age scolastico, sistema cui il regista ripone molta fiducia, tra banchi ed
esercizi alla lavagna, tra la disciplina e il rigore, tra l’ambizione e la competizione, tra il rapido
apprendimento e la passione, tra un assiduo e costante impegno foriero di fallimenti e successi. Sophie viene
ammessa e si trova difronte un sistema severissimo, che esige sacrifici, abnegazione e dedizione totale, un
approccio che non fa sconti a nessuno, a volte anche crudele, un percorso tortuoso e irto di ostacoli, ma come
contraltare promesse, o illusioni, di potere e denaro. I sacrifici sono tanti, visto che Sophie è
costretta a rinunciare a tutto, o quasi, per dedicarsi a tempo pieno allo studio.
La tecnica di ripresa, nella
scelta cromatica, è coerente con l’analisi fredda e metodica, razionale come una mente
matematica.
Dopo il suo debutto con
l’interessante noir “Complices”, proiettato in concorso al Locarno Film Festival nel
2009, il regista è tornato a Locarno, al 76° Film Festival, dove ha presentato il suo lungometraggio
in Piazza Grande, come fece con l’opera seconda nel 2016 “Moka” (“Per mio
figlio”). Nell’intervista rilasciata durante il Locarno Film Festival, il regista ha
dichiarato:
“Quando ho iniziato a
riflettere sul film, volevo fare un film che rileva un po’ dal romanzo di formazione, quello che in
inglese si chiama “coming of age tale”, perché trovo che quest’età, quando
si hanno 17-19 anni, in cui si supera il bac, la maturità, è un momento abbastanza forte,
intenso, un momento delle prime scelte che ci definiscono, che ci fanno diventare quello che poi saremo, un
momento in cui diventiamo attori della nostra vita. E quando ho iniziato a pensare alla storia di Sophie,
una ragazza che decise di fare un pré-bac
scientifique (maturità scientifica),
per entrare in una grande università di ingegneria, ho trovato che inserirla in una classe sociale
più modesta, l’avrebbe costretta sia a farla uscire dal suo contesto con il conflitto di
lealtà che ciò comporta, sia a riflettere alla classe verso la quale andava e guardare a
quello che lasciava. Ho fatto molti sopraluoghi, intervistato docenti e studenti, ho fatto un grosso lavoro
di immersione, perché ci fosse una base documentaristica molto forte, e in questo quadro, ho voluto
inserire la fiction, la narrazione e il romanzato, era per me importante inserire il romanzato in qualcosa
di molto narrato. Il caso ha voluto che mio figlio ha iniziato la stessa scuola mentre iniziavo le riprese
del film, e quindi mi sono fatto raccontare il discorso del preside, mi sono fatto prendere appunti, quindi
era come se avessi un interno che mi forniva informazioni.
Queste classi preparatorie sono un
po’ come dei sono luoghi chiusi, in cui gli studenti lavorano 50-60-70 ore alla settimana, sono
veramente in immersione, come dice uno dei ragazzi non c’è il tempo per innamorarsi, devi
lavorare, lavorare, per vincere il concorso, e questa ragazza entra in questo luogo chiuso, ma nello stesso
tempo suo fratello e la sua famiglia che vive cose molto diverse, vive una sorta di declassamento, soffre
perché si occupa di un’azienda di allevamento in difficoltà, e questo le arriva addosso,
questa ragazza anche se cerca la sua strada, cerca di arrampicarsi un po’, si fa riprendere dal
fratello e questa sua esperienza nutre la sua motivazione, in fondo fa sì che ritrova forze, parte
altrove ma con la coscienza delle sue radici, so da dove vengo. IN questo film ci sono due pranzi familiari,
il primo di Natale con la sua famiglia, in cui la sua famiglia si rende conto che Sophie è cambiata,
portando un dolce che per loro è molto caro e non capiscono, Sophie porta un dolce che costa da 50
euro, lei dice che è Natale, la famiglia la trova sopra le righe e la vede già un po’
altrove, e il secondo con la famiglia del suo compagno, di colpo si rende conto che in questo altro mondo
non si trova neppure il suo posto, e questo è quello che vive a volte la gente che passa da una
classe all’altra, la mia verità dov’è, da dove vengo o dove arrivo, ma capisce che
non deve scegliere tra l’uno e l’altro, ma che l’uno può nutrire l’altro.
Anche quando si vuole cambiare, il sistema tende a frenare questo cambiamento, ma spero che la
volontà sia più forte della realtà.”