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"Picco"

"Picco" di Philip Koch Recensione di Joseph Moyersoen, giudice onorario presso il Tribunale per i minorenni di Milano

Un film che racconta in modo crudo e asciutto una realtà ancora poco esplorata cinematograficamente, ossia quella delle carceri minorili tedesche.

Tratto da fatti realmente accaduti, Picco ci fa tuffare di testa nella claustrofobica quotidianità di quattro adolescenti, contando i giorni di una pena detentiva che stanno scontando in un carcere minorile. Unici momenti di evasione mostrati allo spettatore sono per questi ragazzi il calcetto, la TV in una stanza accessibile da tutti e “l’ora d’aria” in una corte interna al carcere. Tutto il resto del tempo è dominato dalla vita in cella, dalla noia e dall’accumulo di tensione e aggressività con inesistenti valvole di sfogo che non siano la sopraffazione del più forte sul più debole. Gli incontri settimanali con una psicologa dovrebbero costituire il fulcro del percorso cosiddetto “educativo” ma, come mostra il film, con scarsissimi risultati sia per l’approccio costrittivo che per l’assenza di altri strumenti che dovrebbero accompagnare un tale percorso. Tuttavia così come mostrato dal film, non vi sono spazi per una riflessione critica sul proprio percorso di vita, sul proprio passato e sulle ragioni per cui i ragazzi si trovano in carcere, tant’è che allo spettatore non è dato sapere quali reati i singoli ragazzi hanno commesso. Così come non vi sono spazi per un reinserimento nella società visto che dal film traspare che non vi sono percorsi di studio – formazione professionale in atto nella struttura penitenziaria, ne contatti con il mondo esterno se non attraverso le visite dei familiari. Ogni ragazzo è abbandonato a sé stesso dentro le mura del carcere, deve pensare solo a difendersi e a sopravvivere, a costo della sopraffazione, della violenza psicologica, fisica e sessuale e anche a costo della vita di qualcun altro, che non riesce a vincere la sopraffazione del più forte. Se così realmente fosse, il sistema penitenziario minorile tedesco sarebbe molto diverso da quello italiano che invece ha sempre puntato in modo concreto proprio sulle finalità di educazione e su percorsi mirati e individualizzati dei singoli ragazzi.

In un crescendo di tensione Picco, nomignolo dato al protagonista, inizialmente restìo a fare gruppo con il più forte e con il suo braccio destro e contro il più debole, accetta poi di farlo perché si rende conto che altrimenti sarebbe lui la vittima predestinata. La violenza e la brutalità di alcune scene shock fanno comprendere allo spettatore quanto ciascun detenuto debba lottare con le proprie armi per non essere sopraffatto. Da qualche sberleffo ripetuto fino a scherzi pesanti che spingono un ragazzo al suicidio o, forse, all’omicidio con la complicità e il silenzio di tutti perché, altrimenti, sarebbe toccato ad un altro di loro.

Sono stati diversi i lungometraggi che hanno toccato i temi forti della delinquenza minorile, della carcerazione minorile e del recupero. Basti ricordare il brasiliano “Juizo” di Maria Augusta Ramos su sistema giudiziario e penitenziario minorile brasiliano, nonché l’italiano “Mary per sempre” di Marco Risi e il belga “Il figlio” dei fratelli Dardenne che, con tecniche diverse, hanno rivolto lo sguardo sui problemi del dopo carcere.

Picco è l’opera prima del giovane regista tedesco Philip Koch presentata alla “Quinzaine des Realisateurs” del Festival del cinema di Cannes 2010. "Ho creduto fosse giusto raccontare questa storia quando, nel 2006, ci sono stati molti fatti di cronaca nelle prigioni minorili tedesche tra cui quello di tre ragazzi che hanno torturato il loro compagno di stanza per dodici ore prima di costringerlo al suicidio", ha spiegato Koch. Questo film ci ricorda che, in un periodo di tagli in bilancio in tutti i settori della pubblica amministrazione italiana, i problemi emergenti del sovraffollamento di alcune carceri minorili, la carenza in organico di personale specializzato come educatori, psicologi, assistenti sociali e mediatori culturali, rischiano di trasformare in realtà le situazioni così ben raccontate anche se in modo molto crudo dal lungometraggio.


Joseph Moyersoen