Tribunale
Documenti
Accoglienza minori ucraini
Adozioni di minori con bisogni speciali
Progetti e Iniziative
Procura
Link e contatti
Glossario
''Non ci sto dentro''
Recensione di Joseph Moyersoen, giudice onorario presso il Tribunale per i minorenni di Milano, dell'ultimo film di Antonio Bocola presentato alla 67^ Mostra del cinema di Venezia
L’ultimo lungometraggio ideato e prodotto da Antonio Bocola, già conosciuto per il pluripremiato e apprezzato da pubblico e critica “Fame chimica” e realizzato con il sostegno della Provincia di Milano, andrebbe visto non solo da tutti coloro che lavorano a contatto con i minori che entrano nel circuito penale e da questi ultimi che ne sono protagonisti, ma anche dal pubblico generico.
Con un titolo che è già di per sé un messaggio, “Non ci sto dentro” affronta con occhio attento e non giudicante il tema complesso dei ragazzi che nella delicata a complessa fase di passaggio verso l’età adulta, commettono reati ed entrano nel sistema della giustizia minorile italiano. Si tratta di un tema che in questi ultimi anni ha aperto una breccia anche nel cinema, viste le numerose opere italiane come “L’amore buio” di Antonio Capuano, “Jimmy della collina” di Enrico Pau, “Nisida. Crescere in prigione” di Lara Rastelli, oppure straniere come “Juìzo” di Maria Augusta Ramos (Brasile), “Il figlio” [1] di Luc e Jean-Pierre Dardenne (Belgio), “Les Choristes”[2] (I ragazzi del coro) di Christophe Barratier (Francia), “Allein in vier Wänden” di Alexandra Westmeier e “Picco” di Philip Koch (Germania).
Nelle immagini introduttive scorrono veloci in parallelo quattro storie che mostrano la causa dell’ingresso dei minori di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni nel circuito penale: la commissione di un reato. Poi la macchina da presa si sposta nel Centro di Prima Accoglienza e a seguire nelle altre strutture con cui questi ragazzi entrano in contatto, ci mostra tutte le fasi dell’evoluzione di un percorso che costantemente si dimostra una “messa alla prova”.
Attraverso poi il racconto di alcuni ragazzi italiani e stranieri, e degli operatori che li seguono nel loro percorso di recupero che il nostro sistema di giustizia penale minorile consente e che è in confronto agli altri Paesi del mondo all’avanguardia, il documentario mette in luce le esperienze, gli approcci, gli strumenti, i pensieri e le aspettative di ragazzi e operatori. Partendo da questi ultimi di cui si parla sempre poco, si può conoscere il metodo di lavoro e l’approccio, nonché quanto l’esperienza sul campo consente di rimodularli e perfezionarli, anche tenuto conto della grande diversità di problematiche e situazioni che si nascondono dentro ogni ragazzo. Come racconta un’operatrice, non si fa in tempo ad affrontare l’ondata di ragazzi provenienti da un determinato Paese, che si affacciano già i ragazzi provenienti da un’altro, e così per gli ragazzi italiani, che non sono più quelli di qualche anno fa sia per back-ground e provenienza che per segni esteriori con cui si contraddistinguono (abbigliamento, taglio di capelli, tatuaggi, piercing, ecc.).
I ragazzi intervistati hanno già avviato un percorso o dentro l’Istituto Penale Minorile Beccaria di Milano o fuori in Comunità educative, tra le altre si riconoscono Kayros, Comunità Nuova e Arimo, che ha organizzato una proiezione con dibattito alla presenza dei ragazzi che ha in carico. Colpiscono alcune frasi dei ragazzi che il regista ha volutamente montato nel lungometraggio, come “devo pagare per quello che ho fatto”, oppure “adesso che ci sono tutti questi operatori intorno a me, bisogna sfruttarli”. Interessante anche la differenza di genere, per cui le ragazze sembrano tutte più estroverse, sfrontate e schiette dei loro coetanei maschi.
Nella tecnica di ripresa, spicca il fatto che i ragazzi e le ragazze non vengono mai ripresi con primi piani frontali, ma in penombra o di schiena o con inquadrature su dettagli del corpo (bocca, collo, capelli, spalle). E’ chiara la volontà di rispettarne l’anonimato, sia in quanto minori sia in quanto coinvolti nel circuito penale per cui la privacy assume una ancora maggiore rilevanza per il nostro sistema giudiziario.
Tra gli operatori intervistati, il magistrato Fabio Tucci che ha svolto la funzione di giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale per i minorenni di Milano è molto esaustivo e non necessita di alcun commento: “Quando il minore compie un gesto antisociale ha superato un muro altissimo, quindi è in una situazione di disagio profondo al punto che il minore trova conveniente compiere un gesto antisosciale che lo pone fuori da una situazione di consenso, ma è così spinto dalla paura dell’altro che deve necessariamente agire in modo antisociale. Quindi compiere un delitto viene vissuto dagli addetti ai lavori come un grido di aiuto del minore ... Tendenzialmente il minore che realizza un comportamento antisociale è un minore tendenzialmente confuso, è un minore che ha avuto una suggestione da parte dell’ambiente, da parte della famiglia a comportarsi in un certo modo, a rubare qualcosa, e per la prima volta rischia di pagare le conseguenze per un gesto magari fatto altre volte ma non scoperto, per il quale non ha pagato nulla. Quindi è un minore che sta assaporando per la prima volta che i suoi punti di riferimenti sono messi in crisi perché c’è un altro punto di riferimento, quello del Tribunale per i minorenni, che sta provando a sostituirsi ad esso. Se il minore è confuso ha bisogno di chiarezza, allora vuol dire che l’équipe educativa deve essere chiara e monolitica ai suoi occhi. Quindi il vertice di questa struttura non può essere che il giudice perché il minore ha chiaro che è il giudice che eventualmente può irrogare la sanzione penale, la privazione della libertà. Quindi è chiaro che lui deve trasferire il messaggio educativo in alternativa a quello detentivo.”
Emblematiche sono poi le parole di Don Gino Rigoldi, che molto conoscono per l’assiduo e appassionato impegno che da decenni lo vede in prima linea rispetto ai ragazzi nel circuito penale: “Uno dei comportamenti meno insegnati oggi è la fiducia, la relazione, i legami, gli amori”. Ed proprio questo il difficile compito degli operatori che affiancano questi ragazzi nel loro percorso di recupero.
In attesa che questo lavoro trovi una sua distribuzione, per chi avesse il desiderio di utilizzare questo documentario per una proiezione di carattere formativo o di altro genere, può scrivere al sottoscritto:
Joseph Moyersoen