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"Maledimiele"
Recensione di Joseph Moyersoen, giudice onorario presso il Tribunale per i minorenni di Milano, del Film di Marco Pozzi, sul il vivere male con il proprio corpo delle adolescenti
Fin dalle prime inquadrature del secondo lungometraggio di Marco Pozzi, Maledimiele, presentato nella sezione Family festival della 67a Mostra internazionale di arte cinematografica di Venezia, si comprende il tema. Sara, quindici anni, ben interpretata da Benedetta Gargari – già protagonista di fiction TV e di “La Finestra di Fronte” e “Saturno Contro” di Ferzan Ozpetek – viene seguita dalla macchina da presa, con molti primi piani sui suoi sguardi e gesti, mentre fa colazione. Potrebbe sembrare apparentemente una situazione come tante altre ma, non appena la madre esce di casa, Sara inizia in modo ossessivo compulsivo ad ingurgitare biscotti e latte fino a stare male e rimettere, per poi correre fuori di casa per acquistare proprio ciò che ha letteralmente divorato. E la scena si ripete.
Il film tratta dunque di un’adolescente che precipita nel vortice dell’anoressia, ormai diventata una delle prime cause di morte fra i giovani in Occidente. Il tema attuale e complesso viene affrontato dal punto di vista della ragazza che ne è colpita, del cambiamento che si innesca dentro di lei e che la assorbe sempre di più allontanandola pian piano da tutto e da tutti, mentre l’ambiente che la circonda sembra non cogliere le ragioni e la gravità di ciò che le sta accadendo: in primis i genitori borghesi, interpretati da Gianmarco Tognazzi e da Sonia Bergamasco, che sono presi più dai propri impegni professionali che dalla cura di Sara.
Il film rappresenta dunque anche lo sgretolamento della famiglia e il modo in cui essa non si rende conto dei problemi al suo interno. In un’intervista il regista Marco Pozzi afferma: “Ci sono molti riferimenti simbolici che esprimono questo concetto: ad esempio il fatto che la casa sia piena di vetri, di spazi trasparenti ma, nonostante l’evidenza, i genitori non sono in grado di vedere la malattia della figlia. Nemmeno il padre – un oculista nel film – che di professione vede gli altri, non si accorge del disagio fino a quando non si ritrova davanti a un oggetto fisico, un segno lampante che lo rappresenta… aprendo una valigia… trova un lenzuolo con scritto ’38 peso perfetto’”.
Il teatro delle riprese è la città di Milano scelta perché nell’immaginario collettivo rappresenta la città della moda, delle televisioni, delle pubblicità, considerata come città delle apparenze e della frenesia, in cui tutti sono così presi dal correre sempre e ovunque che spesso perdono di vista i veri problemi.
Il regista Pozzi afferma anche che “Maledimiele bandisce ogni compiacimento voyeuristico e prova ad accompagnare senza morbosità lo spettatore dentro la dimensione della malattia e a conoscere il mondo attraverso gli occhi di Sara. Il film vuole mettere in campo anche il vuoto esistenziale e la difficoltà di comunicare all’interno della famiglia borghese. L’importante presenza del personaggio di Sara aiuta lo spettatore a entrare in un immaginario che, lontano da stereotipi, conduce attraverso le immagini a un valore universale visibile che può far riflettere tutti indistintamente”.
Per la realizzazione il regista si è avvalso della consulenza del professor Michele Carruba, nutrizionista dell’Università degli studi di Milano e Presidente della Società italiana di obesità (SIO), e la giovane protagonista ha effettivamente perso cinque kg e mezzo durante le riprese per entrare meglio nel ruolo della ragazza anoressica, seguita oltre che da un nutrizionista anche da uno psicologo. “Il personaggio di Sara – dice a sua volta l’attrice che la interpreta Benedetta Gargari – mi ha fatto crescere e mi ha tenuta lontana dalla malattia Questo film deve aiutare le ragazze della mia età, e anche i loro genitori, a capire che è importante vivere bene con il proprio corpo e che non bisogna ‘giocare’ con la dieta. Questo primo ruolo da protagonista è stato per me molto difficile a livello psicologico perché, per comunicare al meglio ‘l’essere malata’, ho dovuto creare una distanza tra me e il personaggio di Sara”.
Il film, oltre che da vedere con parenti e amici e con i propri figli adolescenti, può anche essere un utile strumento per le formazioni che affrontano il tema dell’anoressia, soprattutto dal punto di vista delle complesse dinamiche della malattia mentale.