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"Il ragazzo con la bicicletta"

Il ragazzo con la bicicletta (Le gamin au vélo)di Jean-Pierre e Luc Dardenne. Recensione di Joseph Moyersoen

La ricerca del proprio padre, la difficoltà di accettare la cruda realtà dell’abbandono, i rischi di caduta nella devianza e la costruzione di un altro percorso di vita, sono i passi che scandiscono l’ultimo lungometraggio dei fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne.

Cyril (l’espressivo Thomas Doret), è un ragazzino di dodici anni vivace e già marcato da un bel bagaglio di ferite e cicatrici. Senza madre e abbandonato dal padre (Jérémie Renier, già protagonista de “L’enfant”, precedente riuscito e premiato film dei fratelli Dardenne) in una comunità educativa per un mese, Cyril è costretto a rimanerci di più e contro la sua volontà, non avendo nessun altro familiare disponibile ad ospitarlo e a prendersi cura di lui.

Fin dalle prime inquadrature si può leggere negli sguardi sfuggenti di Cyril la confusione frutto di irrazionale rabbia mista a forte desiderio di ritornare a vivere col padre cui è ancora più legato nonostante la scelta di quest’ultimo che, dopo averlo abbandonato in comunità, si trasferisce cercando di far perdere le sue tracce e vendendo anche ciò che rappresenta per Cyril il loro legame: la bicicletta (inutile sottolineare l’omaggio all’opera neorealistica di Vittorio De Sica “Ladri di biciclette”). Deciso e ostinato nella sua ricerca contro tutto e tutti, Cyril ripercorre i luoghi frequentati dal padre per scoprire dove si è trasferito e fa di tutto per ritrovarlo (per es. fughe da scuola e da ogni minima distrazione degli educatori della comunità). Proprio durante la sua disperata ricerca, Cyril incontra Samantha (Cécile de France, lanciata da Marco Nicoletti all’inizio degli anni 2000 e protagonista dell’ultimo film di Clint Eastwood “Hereafter”), giovane parrucchiera che rimane subito colpita dal ragazzino. Samantha inizia ad avvicinarsi a Cyril e al suo mondo e, su richiesta di quest’ultimo, propone al responsabile della comunità di fargli trascorrere i fine settimana a casa sua.

Ma la convivenza, anche se solo nei fine settimana, sarà tutt’altro che una passeggiata. L’obiettivo di Cyril è e resta il ritorno dal padre finché non sarà costretto ad accettare la cruda realtà. Allora la rabbia e il riscatto prenderanno il sopravvento, in un percorso tortuoso che lo vedrà scontrarsi con un gruppo di ragazzi più grandi e con il mondo della devianza e della delinquenza minorile, finché non troverà la sua strada.

Sono molti i temi trattati in questo film, sia nella prospettiva di Cyril che in quella di Samantha, unica vera figura adulta positiva. Il primo talmente accecato dal suo obiettivo che non riesce a comprendere cosa gli stia accadendo intorno, la seconda immersa nella difficoltà di comprendere un adolescente chiuso, instabile e imprevedibile. Ma primo fra tutti è il tema della negazione, di cui è intriso il protagonista che si sente rifiutato e inconsapevolmente scatena comportamenti per ottenere la conferma di questo rifiuto (per es. con Samantha).

Ben riuscita à la ricostruzione dei codici di comunicazione dei ragazzi e delle dinamiche che chi lavora nel campo educativo e in quello della giustizia minorile ben conosce. Basti segnalare tutta la costruzione della trappola della banda di ragazzi devianti in cui Cyril cade preda senza rendersene conto. Molto spesso i ragazzi preadolescenti e adolescenti che vivono il riscatto dell’abbandono, sono spinti verso la costruzione di una proprio identità nel gruppo dei pari, che guarda caso hanno problemi analoghi (il capo banda del film aveva trascorso tre anni nella stessa comunità educativa di Cyril) ma già orientati in contesti devianti. Un contesto dove il grido di aiuto di chi commette un atto simbolico molto forte contro la società e il mondo adulto, diventa collettivo.

Significativo è il rubinetto del lavandino in cui il ragazzo è ricurvo, con l’acqua che scorre sulle sue braccia, che potrebbe simboleggiare il pianto che non riesce a far scaturire e il suo forte bisogno di accoglienza. Anche interessante, seppur ridotto a una manciata di  secondi, l’esito della mediazione penale tra autore e vittima di un reato di rapina con lesioni, con le significative e simboliche scuse dall’autore alla vittima che consentono al primo di calarsi in come il secondo si è sentito al momento del fatto di reato.

Rispetto ai registi, Cécile de France ha dichiarato “Adoro il loro modo di raccontare, così semplice e intenso. Il loro saper cogliere con tanta finezza ogni sfumatura dell’animo umano, mescolare leggerezza e profondità. Un cinema molto speciale, luminoso, diverso da tutti gli altri.

In quest’opera i fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne, registi e sceneggiatori, ripropongono  la loro tecnica documentaristica, anche se con più dialoghi e un minor utilizzo della telecamera a mano, con il proprio stile neorealistico fatto di storie di persone comuni che vivono nelle periferie e nella marginalità. “Il ragazzo con la bicicletta” è infatti costellato di eventi che potrebbero accadere nella periferia di qualunque città.

Dopo aver vinto la Palma d’oro nel 1999 con “Rosetta” e nel 2005 con “l’enfant”, sempre al Festival del cinema di Cannes i fratelli Dardenne hanno ricevuto il gran premio speciale della giuria nel 2011 per “Il ragazzo con la bicicletta”. “La telecamera si muove meno ed è molto più lontana dai personaggi, in modo tale che contenga il ragazzo e gli adulti– precisa Luc Dardenne -  E’ quasi sempre all’altezza del ragazzo, un metro e quaranta, per salire ogni tanto al livello degli adulti.” Ma questo accade solo “ogni tanto”.


Joseph Moyersoen