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"Tutti per uno" (Les mains en l’air)

Tutti per uno (Les mains en l’air) di Romain Goupil. Recensione di Joseph Moyersoen

Non sono molti i registi che hanno avuto il coraggio di guardare il mondo contemporaneo, le sue problematiche e le sue contraddizioni, con gli occhi dei bambini. In passato ci sono riusciti registi del calibro di François Truffaut, Vittorio De Sica e Louis Malle, ora ci ha provato con buoni risultati un altro regista francese, Romain Goupil.

Con un’ inquadratura non casuale sulla Ville Savoye (Poissy) di Le Corbusier, monumento nazionale e manifesto dei cinque punti dell’architettura moderna (i pilastri, le terrazze giardino, la pianta libera, la finestra a nastro e la facciata libera), si apre l’ultima opera del regista francese. La voce narrante è quella della settantenne Milana, che ricorda i fatti accaduti nel lontano 2009, quando andava alle elementari nel diciottesimo arrondissement, quartiere popolare a nord di Parigi. 

Siamo già abituati alle malpensate traduzioni dei titoli dei film stranieri. Peraltro “Tutti per uno” è un titolo che richiama altre opere del passato, in primis quella di Richard Lester (1964) sui Beatles, che trattano di argomenti ben diversi. “Le mani in alto” sarebbe stata la traduzione più corretta e convincente di questo lungometraggio, che con la voce narrante di Milana accompagnata spesso da una ninna nanna canticchiata sottovoce, ci porta indietro nel tempo, per rivivere in flashback temi molto attuali e presenti ai giorni nostri: l’immigrazione clandestina, le difficoltà di regolarizzazione e di integrazione, le politiche di espulsione del Governo sotto la Presidenza della Repubblica di Nicolas Sarkozy e l’accettazione e la solidarietà della popolazione francese, queste ultime rese molto bene anche nel lungometraggio “Vento di primavera” di Rose Bosch.  

E’ un tema scottante quello della lotta all’immigrazione irregolare messa in atto dalla politica di Sarkozy, anche qui affrontato sottoforma di denuncia come nell’applauditissimo “Welcome” di Philip Lioret, che è giunta a compiere retate nelle scuole per far uscire allo scoperto le famiglie degli irregolari, i cosiddetti “sans papier”. Si è letto sui giornali della reazione di presidi, insegnanti e genitori dei compagni di classe degli stranieri irregolari, che hanno cercato di ostacolare questa politica repressiva con i mezzi a disposizione, giungendo anche a stendendosi per terra sull’asfalto al fine di impedire alle camionette della Polizia di portare i bambini stranieri in Commissariato. 

Ma gli adulti nell’opera di Goupil fanno da sfondo, perché i protagonisti sono Milana e i suoi compagni di scuola e di giochi, che affrontano questi temi a modo loro, contrassegnati dalla solidarietà, dall’altruismo, dall’amicizia, dall’accettazione del diverso, lo stranieri e dalla scoperta del mondo propri di quell’età che molto adulti hanno cancellato dalla memoria.

Milana va a scuola a Parigi, in una numerosa classe come altre, composta da 30 bambini con molti stranieri. Fa parte di una “banda” di cinque ragazzini che hanno trovato un nascondiglio in una cantina nei pressi della scuola, dove pianificano le loro avventure e le loro malefatte (vendita di videogiochi in DVD contraffatti e piccoli furti di caramelle). Tutto fila liscio, finché l’arresto di uno di loro, Youssef, e della sua famiglia, nonché il suicidio di una madre la cui famiglia rischia l’espulsione, non scatena una reazione a catena che porterà Cendrine (interpretata dalla sorella della moglie del Premier francese, Valeria Bruni Tedeschi), mamma di Blaise e Alice a prendersi cura di Milana, anch’essa in Francia con la famiglia cecena senza permesso di soggiorno.

Da qui nasce il piano di fuga della banda, per proteggere Milana dall’espulsione, gesto poi imitato da altri bambini in altre città della Francia.

Si tratta di un film “a misura di bambino”, e lo si riscontra nelle inquadrature spesso alla loro altezza per meglio seguirne i gesti e gli sguardi, nonché nel modo di raccontare e di analizzare gli accadimenti che toccano direttamente i bambini e non solo il mondo adulto.

Romain Goupil ha fatto la gavetta come assistente di Jean-Luc Godard e di Roman Polansky. Già conosciuto come attore, nonché come sceneggiatore di “Si salvi chi può” (1980) di Jean-Luc Godard e di “A mort la mort!” (1999) di cui è stato anche regista, ha presentato questo suo ultimo lungometraggio come Evento Speciale del Festival del cinema di Cannes 2010.

Il regista racconta come nasce l'idea del film: “Nel 2007, quando Sarkozy ha cercato di sedurre l'estrema destra, ha decretato questa politica del rimpatrio forzato, anche per le famiglie e i bambini, che ha provocato in me un disgusto totale, un sentimento di rivolta. Ho fatto questo film non per denunciare ma per rinascere, far vedere l'assurdo in cui viviamo. In Italia accade lo stesso: si fa leva sulle paure della popolazione, si cerca di compiacerla con pratiche incivili quando dovremmo essere fieri di accogliere queste persone. Nell'agosto 2010 con il rimpatrio forzato dei Rom abbiamo raggiunto l'apice di questa politica allucinante”.

Come la Ville Savoye rappresenta per l’epoca in cui fu costruita una rottura degli schemi e delle regole dell’architettura con nuove forme più libere, anche la politica nel trattamento dell’immigrazione irregolare per il regista dovrebbe aprirsi ad approcci meno rigidi e più adeguati alle esigenze dei tempi.

Verranno trovati i componenti della banda scomparsi nel nulla? Milana resterà nella famiglia di Blaise e Alice dove ha conosciuto l’amicizia e anche il primo amore infantile o verrà regolarizzata con la conseguenza di dover tornare nella propria famiglia? A queste domande si può solo rispondere andando a vedere questo bel lungometraggio, che molto fa riflettere e insegna con le sguardo dei bambini.


Joseph Moyersoen