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"Monsieur Lazhar"

Recensione del film "Monsieur Lazhar" di Philippe Falardeau

Una scuola elementare di un tranquillo quartiere di Montreal in Quebec, un giorno invernale apparentemente come tanti. Al termine della ricreazione, accade qualcosa agli undicenni Simon (Emilien Neron) e Alice (Sophie Nelisse) che li segnerà profondamente: rientrando in classe vedono il corpo della propria insegnante di francese Martine, che si è impiccata con un foulard.

L’ultimo lungometraggio di Philippe Falardeu si apre con un evento traumatico che provoca uno shock emotivo collettivo difficile da gestire e da superare. Sorgono subito spontanee le domande: come aiutare i bambini a rielaborare il trauma subito? Basterà una psicologa messa a disposizione dalla scuola per tutti gli alunni in caso di loro esplicita  richiesta? E’ meglio riprendere le attività come se nulla fosse accaduto oppure cercare di affrontare tutti insieme questo tragico evento? Senza lasciare il tempo per rispondere a questi interrogativi, ecco che appare a scuola Bachir Lazhar - da cui il titolo del film, interpretato dal bravo attore teatrale Fellag - un cinquantenne algerino immigrato in Canada. Bachir ha appreso dai giornali quanto accaduto nella scuola e si rende subito disponibile a sostituire Martine, in attesa che il Ministero dell’educazione concluda la burocratica procedura per la sostituzione dell’insegnante scomparsa, raccontando di aver insegnato francese per 19 anni in Algeria. Ma Bachir nasconde un passato ancor più tragico che ha colpito la sua famiglia ad Algeri, impossibile da cancellare. Con il benestare della preside, consapevole ma poco coraggiosa, con gli scetticismi iniziali degli alunni traumatizzati e dei genitori apprensivi, ottusi e succubi di un sistema di insegnamento per cui nessuno è autorizzato a contraddire i propri figli, Bachir inizia questa difficile avventura.

Sono molti i temi in “Monsieur Lazhar”, trattati con pudore e delicatezza, ma anche con umorismo e ironia: la gestione degli eventi traumatici, l’immigrazione e l’infanzia messe alla prova, la comunicazione e il linguaggio dei bambini e la loro resilienza. Il regista critica implicitamente il sistema educativo canadese, perché cerca di soffocare la crescita dei bambini, trattandoli come se fossero in una cappa di vetro. L’atteggiamento della preside e degli altri insegnanti di fronte alla tragedia è quello della chiusura: meglio dimenticare e voltare pagina piuttosto che affrontare l’evento e aiutare i bambini a gestire e rielaborare il lutto. Alcune scene richiamano questa critica, basti ricordare quando Bachir, che ovviamente non è a conoscenza degli ultimi sviluppi della pedagogia nordamericana, viene rimproverato dalla preside per aver dato una sberla ad un suo alunno perché è vietato toccare i bambini, nonché perché utilizza brani del suo romanziere preferito Balzac per i dettati in classe, o dai genitori perché quest’ultimo “deve limitarsi ad insegnare e non ad educare i bambini”.

Si sente poco parlare del sistema educativo canadese, ma va tuttavia ricordato che è un sistema per molti aspetti all’avanguardia, basti citare le esperienze realizzate in materia di prevenzione all’abuso sessuale, tra cui quella denominata “Il mio corpo è il mio corpo”, risalente  agli anni ’80 e ripresa con successo in molti altri paesi occidentali.

Tratto da una pièce di Evelyne de la Chenelière, che peraltro impersona nel film la madre di Alice, “Monsieur Lazhar” è stato presentato in anteprima mondiale al 64° Festival del cinema Locarno, dove ha vinto il premio del pubblico e il Variety Award, e al Toronto International Film Festival. Il suo regista ha realizzato altre opere con al centro l’infanzia, basti ricordare “Congorama” (2006), in cui il protagonista, un quarantenne belga sposato con una congolese e con un figlio adolescente, scopre di essere stato adottato e intraprende un viaggio per conoscere le sue origini; “C’est pas moi, je le jure” (2008) racconta la storia di Léon, un bambino di 10 anni con genitori litigiosi che ne combina di tutti i colori per attirare l’attenzione su di se e per poi tentare di raggiungere la madre trasferitasi da sola in Grecia.

Ma vi sono molte analogie di questo film con un’altra opera del cinema del Quebec che mette in scena una sorta di realismo quotidiano: “Incendies” ( “La donna che canta”), presentato alla Mostra del cinema di Venezia nel 2010 e giunto agli Oscar 2011 nella cinquina finale per il migliore film straniero. In entrambi i film abbiamo due protagonisti immigrati a Montreal, in “Incendies” è una donna libanese che non riesce a lasciarsi alle spalle gli incubi della guerra civile nel suo paese, mentre in “Monsieur Lazhar” è un uomo algerino con una tragedia personale legata a un’altra guerra civile, che ha visto per dieci anni contrapposti governo ed estremisti islamici che hanno lasciato alle loro spalle 150.000 morti.

Altri film affrontano il tema dell’immigrazione, ma questa volta dal punto di vista dei ragazzi immigrati, basti citare “Welcome” di Philippe Lioret, “Tutti per uno” di Romain Goupil e “Le Havre” Aki Kaurismaki.

Quello di Philippe Falardeau è un racconto di formazione, intimista ma senza perdere di vista temi sociali più collettivi, capace di creare una forte empatia. Bachir, Alice e Simon, affrontano faticosamente i postumi dei tragici eventi che li hanno rispettivamente contrassegnati e crescono insieme, si influenzano a vicenda riuscendo con modalità e tempi diversi a reagire e diventare più consapevoli e maturi. Si segnalano le scene della foto di classe coi i bambini che allo scatto urlano tutti insieme “Bachir” e della metafora della crisalide in cui sono rinchiusi i ragazzini che consente la loro trasformazione in farfalla, infine la frase che Bachir pronuncia ai suoi allievi in un momento topico: “La scuola è un luogo di lavoro, di amicizia, di vita, di cortesia, in cui si dedica la propria vita e non la propria disperazione”.

 

Joseph Moyersoen