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"L'Intervallo"
Recensione del film "L’intervallo" di Leonardo Di Costanzo Premiato nella categoria Orizzonti della 69° Biennale del cinema di Venezia
Due adolescenti, Salvatore e Veronica, si trovano per ragioni diverse costretti a trascorrere insieme un’intera giornata in un vecchio ospedale di Napoli fatiscente e totalmente abbandonato. Si annusano con aria circospetta, si provocano e si conoscono lentamente e, forse, un po’ si capiscono.
Un titolo semplice, diretto e dirompente, un direttore della fotografia, Luca Bigazzi, che è uno dei migliori del settore a livello mondiale (pluripremiato e non solo ad Hollywood), due adolescenti protagonisti che hanno trascorso e studiato mesi insieme per dare il meglio di se, soprattutto nell’interazione di coppia, ecco alcuni ingredienti che fanno del primo lungometraggio di Leonardo Di Costanzo, un’opera davvero interessante.
L’opera si apre con una descrizione sul canto di diverse razze di uccelli e sulle ragioni che spingono ognuna di loro a cantare: “...così un canto di sfida può essere confuso con un canto d'amore”. Ed è proprio l’amore che potrebbe nascondersi dietro l’atteggiamento di sfida di Veronica (Francesca Riso) e la “punizione” della camorra cui la ragazza è soggetta, richiusa per 24 ore nel vecchio ospedale, abbandonata alla sola presenza e controllo del coetaneo e inesperto Salvatore (Alessio Gallo).
Così diversi i due protagonisti, Salvatore carceriere suo malgrado per il suo capoclan e Veronica prigioniera per un amore sbagliato, sono costretti a passare dall’infanzia all’età adulta senza vie intermedie. Da iniziali nemici, i due ragazzi pian piano si avvicinano, si scoprono e si confessano; per un giorno hanno la possibilità di risvegliare i sogni e le attrazioni tipiche dell’età adolescenziale, rimasti soffocati dalla dura quotidianità. Due ragazzi che per sopravvivere sono stati costretti a crescere troppo in fretta, parlano, si odiano e si rispecchiano l'uno nell'altro fino al decisivo confronto finale in cui si scopre perché si trovano lì.
Grazie a Luca Bigazzi, uno degli aspetti più interessanti è l’ambientazione che, a seconda degli spazi, delle luci, dei toni e degli umori si trasforma: da un ospedale abbandonato ad un carcere di isolamento o un castello incantato, da un giardino di sterpaglie e rampicanti ad una foresta tropicale, da una cantina allagata ad una grotta dai riflessi azzurri. Molti i temi affrontati dalla pellicola: adolescenza, camorra, rapporto tra i generi e tra le generazioni, senza cadere nei soliti stereotipi.
In un’intervista, le parole del giovane protagonista trasmettono le contraddizioni della Napoli di oggi e anche l’impegno profuso nella recitazione del film: “… E’ iniziato così come un sogno, ma Napoli non è così, cioè mancano tanto i sogni, bisogna lavorare, bisogna crearsi un futuro con le proprie mani … Salvatore è un personaggio un po’ chiuso in se stesso, nelle sue paure, un po’ insicuro … come Salvatore anche io odio questi soprusi, queste violenze, però purtroppo la paura è più forte del coraggio, una voce in mezzo a mille non è che si sente molto. Napoli è bella, però è pure una città dura, un po’ particolare, bisogna saperci vivere ... Abbiamo scelto noi le parole, le risposte, in modo che è più adeguato al nostro modo di parlare e di ragionare …”.
Il regista non è nuovo al lavoro con gli adolescenti, infatti nel 2003 ha presentato alla Biennale del cinema di Venezia “A scuola”, documentario che raccoglie le riprese di un intero anno scolastico in una scuola di un rione periferico di Napoli. L’intervallo è stato scritto dal regista insieme a Maurizio Braucci, conosciuto autore della nuova narrativa italiana e sceneggiatore delle ultime opere di Matteo Garrone: Gomorra e Reality.
Premiato nella categoria Orizzonti della 69° Biennale del cinema di Venezia, il film è autentico e decisamente coraggioso, perché non fa che portare alla luce la realtà: sottomissione al sistema, privo di eroismi o di consolazioni.
Joseph Moyersoen