salta al contenuto

"La mafia uccide solo d’estate"

recensione del film "La mafia uccide solo d’estate" di Pierfrancesco Diliberto

Ardua è l’impresa del regista che si cimenta in temi scottanti come gli omicidi e le stragi di mafia che hanno marchiato un ventennio della vita palermitana, senza eccedere né nella banale ricostruzione né nella amplificata e a volte distorta rilettura dei fatti. “La mafia uccide solo d’estate”, segna l’esordio alla regia di Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, e comprende un cocktail di ingredienti che aiutano lo spettatore ad assimilare e digerire i temi “forti” trattati, ma anche a seguire con curiosità le scelte registiche della sceneggiatura.

Attraverso gli occhi ingenui del protagonista Arturo bambino e le sue vicissitudini amorose fin dai primi banchi di scuola per la coetanea Flora, il giovane regista racconta gli episodi più drammatici che hanno contrassegnato dagli anni ’70 agli anni ’90, non solo la sua vita e quella dei palermitani, ma anche la vita di moltissimi italiani. Lo sguardo di Arturo e la sua capacità di osservare e leggere gli eventi, crescono con l’età, per merito di una sua curiosa predisposizione. Arturo cresce, segnato dagli approcci fallimentari con Flora, dai successi scolastici ma anche dalle stragi di mafia che accadono vicino a lui, fin dal momento del suo concepimento con la strage di Viale Lazio nel 1969, e dagli omicidi eccellenti: da Mario Francese a Rocco Chinnici, dal Commissario Boris Giuliano a Pio La Torre,  dal Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa a Salvo Lima, da Giovanni Falcone a Paolo Borsellino.

Alla domanda di Arturo bambino al padre “La mafia è pericolosa?”, quest’ultimo risponde “No, è come i cani, se li lasci tranquilli. Siamo d’inverno, la mafia uccide solo d’estate.”

E’ questa la frase centrale che da il titolo al primo lungometraggio di Pif, girato durante le riprese del programma TV “Il testimone”, in onda a cavallo con l’uscita del film. Non mancano i riferimento al programma citato, per la dinamicità delle riprese e la propensione alla narrazione-verità, così come all’ironico e grottesco film di Sorrentino “Il Divo”. Frase centrale perché racchiude le contraddizioni dei siciliani ben espresse ne “Il gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, dove nonostante il continuo cambio di dominatori stranieri nei secoli, il profondo carattere dei siciliani è rimasto immodificato (“il peccato che noi Siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di "fare". [....] il sonno è ciò che i Siciliani vogliono”), dove il contrasto tra vecchio e nuovo, la lotta tra poteri, sono evidenti. Dove i codici tramandati nelle generazioni diventano le regole di convivenza e sopravvivenza. Dove la mafia attecchisce, cresce e si impadronisce di tutto e di tutti, sembrando inarrestabile e invincibile, finché alcuni rappresentanti dello Stato non le dichiarano apertamente guerra. Frase centrale che sembra paragonare la mafia ad un fenomeno atmosferico, per difendersi dal quale è sufficiente ignorarlo. Ma il regista sceglie invece di affrontare l’argomento, raccontando qualcosa che non si impara sui libri di scuola, riportando nomi e cognomi dei mandanti e degli esecutori delle stragi di mafia, quindi scegliendo la strada più scomoda ma accostando forme e argomenti apparentemente opposti, senza essere irrispettoso nei confronti di nessuno.

Arturo cresce, nei primi anni di scuola il suo mito è Giulio Andreotti, ed è esilarante la scena del carnevale dove il travestimento del bambino da presidente del Consiglio dei ministri di allora, viene scambiato per il gobbo di Notre Dame o per altri personaggi stravaganti e di fantasia. Ma crescendo, Arturo si rende sempre più conto di quello che non si vede, o meglio, di quello che non viene fatto vedere attraverso la costruzione di un’informazione filtrata, camuffata e a volte anche travisata. La campagna elettorale per Salvo Lima con la frase grottescamente ripetuta all’infinito da quest’ultimo "La Sicilia ha bisogno dell'Europa, l'Europa ha bisogno della Sicilia" e il programma TV “Lo show dei palermitani” a cui Arturo partecipa, solo per stare vicino alla ragazza che fin da bambino l’aveva colpito senza mai essere ricambiato, ne sono un chiaro esempio.

Un’ironia che aiuta ad affrontare l’argomento mafia, con un risultato che speriamo possa bissare il successo de “La vita è bella” di Roberto Benigni, dove l’ironia fu usata per affrontare un altro tema complesso: l’olocausto.

La conclusione del film, che non si anticipa mai al potenziale spettatore, viene segnalata  come l’ideale punto di partenza per un approfondimento del tema nelle scuole. 

Infine è da condividere il commento di Aldo Grasso: “Pif è uno che si appassiona alle cose, che sa osservare il mondo in tutte le sue contraddizioni  ma anche mantenere uno sguardo che non cede mai al moralismo, ma anzi raggiunge gli esiti più pungenti quando si contamina con il grottesco, con l’ironia più surreale”.


Joseph Moyersoen