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"Belle et Sébastien - Di Nicolas Vanier"

Recensione di Joseph Moyersoen del lungometraggio di Nicolas Vanier presentato con successo fuori concorso nella sezione “Alice nella città”, al Festival Internazionale del film di Roma 2013.

Alcuni cacciatori uccidono una capra di montagna, il cui piccolo resta solo e abbandonato in fondo a un crepaccio. Un vecchio lega un bambino e lo cala giù nel crepaccio in mezzo al nulla, per salvare la vita al piccolo capretto, che non sarebbe in grado di sopravvivere da solo.

Ambientato durante la seconda guerra mondiale tra i monti al confine franco svizzero, “Belle et Sébastien” racconta le avventure del piccolo Sébastien, cresciuto in un villaggio con il vecchio fattore Cesar (Tchéky Karyo), in mezzo ad un ambiente incontaminato e dominato dalla natura. Sébastien stringe amicizia con Belle, un gigantesco pastore dei Pirenei femmina, ricercata dagli uomini del villaggio perché ritenuta responsabile di aver sbranato le pecore dei greggi dei pastori.

Tratto da una raccolta di novelle francesi di Cécile Aubry, “Belle et Sebastien” è stato anche una serie animata TV di grande successo diretto da Kenji Hayakawa, con cui sono cresciute intere generazioni durante i primi anni ’80 del secolo scorso. E chi non ricorda la sigla: “Canta con noi, meglio che puoi, canta insieme a noi, viva viva i nostri eroi, viva Belle e Sébastien”, nel film sostituita dal ritornello: "Belle, tu es si belle, qu’en te voyant je t’ai aimée".

Sébastien, interpretato dal bravo e giovanissimo Félix Bousset di soli sette anni e mezzo, si muove liberamente nel panorama spettacolare e imprevedibile della montagna, nonostante l’occupazione nazista e le battute di caccia per stanare la belva.

Ma Belle è davvero quella “belva” così temuta dagli uomini che la vogliono a tutti i costi catturare e sopprimere, oppure si tratta di un innocuo cane che è stato maltrattato dal suo padrone tanto da stare alla larga dalla razza umana, ad esclusione del piccolo Sébastien?

Quest’ultimo invece è un bambino orfano, che vive con César che gli fa da nonno e gli mantiene viva la speranza che la madre, deceduta all’insaputa del bambino, un giorno torni dagli USA che Sébastien pensa stiano dietro le alte vette delle alpi francesi.

Inevitabile quindi l’incontro e il legame affettivo che si instaura tra Sébastien e Belle, che si annusano e si conoscono pian piano, fino a diventare inseparabili, nonostante la caccia aperta alla “belva”. Infatti Sébastien trova in Belle quella madre accudente che non ha avuto, e Belle trova nel bambino un piccolo e innocuo umano da proteggere, ma anche con cui giocare e divertirsi.

Nicolas Vanier è un ambientalista e romanziere, soprannominato anche il Jack London d'oltralpe, che riesce a regalarci una meravigliosa fotografia dei luoghi che conosce come le sue tasche, avendoli percorsi per venticinque anni. Luoghi che l’hanno ispirato per realizzare romanzi, spettacoli e documentari. Basti pensare al documentario "Il Grande Nord" (2003).

Questo suo ultimo lungometraggio è stato presentato con successo fuori concorso nella sezione “Alice nella città”, al Festival Internazionale del film di Roma 2013.

La scena iniziale della capretta di montagna è allo stesso tempo emozionante e spaventosa, e subito ci da la chiave di lettura di questa pellicola, ossia la vicinanza tra uomo e animale, in un luogo e tempo in cui entrambi sono dominati da madre natura. Terza protagonista di quest’opera, realizzata a misura di bambino, primeggia in tutta la pellicola, tanto da permettere di affermare che l’opera rappresenti un vero e proprio elogio della natura, in grado di interagire coi protagonisti, di offrire loro rifugio ma anche di ostacolarli con pericoli mortali. Il regista ha scelto di girare il film durante tre diverse stagioni (estate, autunno e inverno) proprio per rivelare i colori della montagna nei vari periodi dell'anno, tra bestie selvagge e luoghi ostili, l'uomo e la natura diventano una cosa sola, così come lo diventeranno il piccolo Sebastien e la grande Belle. Anche i  nazisti che danno la caccia agli uomini del villaggio che rischiano la vita per far attraversare il confine agli ebrei perseguitati è un argomento, seppure di sfondo, mostrato senza banalità e conformismo. Solo verso la fine si può comprendere che le bestie non sono sempre tali, tra gli animali come tra gli uomini, e che spesso è solo il pregiudizio e la paura che ci portano a considerarle tali.

Una delle rare trasposizioni al cinema di una serie animata, che è degna di essere vista, per la storia di amicizia, per l’ambientazione in un paesaggio che toglie il respiro, per la natura incontaminata e dominante.


Joseph Moyersoen