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L'Irrilevanza del fatto, di Andrea Conti

Pubblichiamo in allegato una ricerca, anche sul campo, su uno dei principali istituti di definizione del processo penale minorile

Abstract:
L’art. 27 d.p.R. 448/1988 introduce nell’ordinamento di giustizia minorile l’istituto dell’irrilevanza del fatto. In forza di questa norma il giudice può, o meglio deve, emettere la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto laddove ricorrano congiuntamente i tre presupposti indicarti dall’art. 27, comma 1. In particolare, il fatto di reato deve poter essere definito, alla luce dei parametri indicati dall’art. 133 c.p., come tenue; inoltre, il comportamento del minore deve poter essere giudicato, alla luce delle relazioni rese dai servizi sociali e delle dichiarazioni del minore e delle altre parti, occasionale, cioè a dire, riassumendo un complesso dibattito dottrinale e giurisprudenziale, che la condotta non risulti il frammento di una vita dedita al crimine e che tale comportamento sia determinato da fattori ambientali, sociali e personali tali da non essere prevedibilmente ripetibili. Oltre a ciò, il giudice dovrà valutare se proseguire l’iter processuale significhi arrecare un pregiudizio alle esigenze educative del minore, e solo in caso di risposta positiva, ossia solo nel caso in cui il processo si qualificherebbe come una risorsa non utile per il minore a fronte di un percorso di crescita e di responsabilizzazione compiuto dal minore, dovrà pronunciarsi ai sensi dell’art. 27 d.p.R. 448/1988. Ai tre presupposti indicati dalla norma, secondo una linea interpretativa manifestata sia in dottrina sia in giurisprudenza, si aggiunge un ulteriore presupposto implicito: la responsabilità del minore.

La declaratoria di irrilevanza del fatto può essere pronunciata, in ossequio al dato letterale, durante l’indagine preliminare e ad esito dell’udienza preliminare. La declaratoria di irrilevanza del fatto pronunciata in queste due fasi deve essere, secondo la linea esegetica prevalente, preceduta dal consenso del minore alla definizione anticipata del processo. Un tale esito può anche concludere il giudizio immediato, il giudizio direttissimo e, a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale, anche la fase dibattimentale.

Si tratta di un istituto che permette di perseguire due differenti finalità: da un lato rende possibile concentrare l’attenzione sulla personalità del minore, realizzando sia il principio di minima offensività sia il principio di adeguatezza, sancito dall’art. 1 d.p.R. 448/1988; dall’altro lato persegue una finalità deflattiva nella misura in cui permette di estromettere dal circuito penale quei fatti di reato che si caratterizzano per una scarsa offensività ed allarme sociale e posso, in estrema sintesi, definirsi come reati bagatellari.