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Penale - Sentenza 6.6.2006, est Domanico
Messa alla prova, reato di abuso sessuale, presupposti e valutazione del periodo di sospensione del processo
Con tale sentenza il tribunale ha valutato positivamente il periodo di messa alla prova nonostante il diverso parere delle PM e la non piena ammissione dei fatti e alcune difficoltà di adesione al progetto predisposto.
In particolare nella sentenza si evidenzia: "(...)nell’elaborare un progetto ai fini di una sospensione del processo per messa alla prova, occorre soprattutto valutare se nell’imputato vi siano risorse sufficienti per intraprendere una reale processo di responsabilizzazione e maturazione e se vi sia da parte sua una disponibilità al cambiamento e dunque non una mera adesione formale a prescrizioni non sufficientemente comprese e accettate. Il progetto di messa alla prova non dovrebbe quindi avere un contenuto esclusivamente e rigidamente prescrittivo, quasi si trattasse di una forma di “sanzione alternativa”, ma dovrebbe prevedere attività nel campo dello studio, lavorativo, del tempo libero, dell’impegno sociale o di riparazione verso le vittime, progetto che deve essere il più possibile compreso ed accettato dall’imputato e che può anche essere modificato in itinere da parte del Tribunale. I progetti devono essere dunque fortemente personalizzati: essi non sono un insieme di prescrizioni rigide scelte dal giudice, bensì una proposta di lavoro elaborata dagli operatori psicosociali con la consapevole partecipazione del minore che intende dimostrare la sua volontà di cambiamento. Si tratta di un percorso che certo può avere anche momenti critici proprio perché è molto impegnativo per un’adolescente che abbia commesso un reato; inoltre non è pensabile che il risultato positivo o meno della messa alla prova possa essere condizionato anche da fattori esterni (quale, nel caso di specie, la chiusura del centro di mediazione dopo che il minore aveva accettato di incontrare le vittime) ma occorre attentamente valutare soprattutto l’atteggiamento dell’imputato anche nei confronti degli operatori sociali, ovvero se sia riuscito o meno ad instaurare con loro un rapporto di fiducia e di reale collaborazione, nonché la serietà e responsabilità con cui affronta i diversi impegni e problemi che via via s’incontrano nella realizzazione del progetto.
Una particolare riflessione merita la prescrizione all’imputato di aderire a un percorso di sostegno psicologico o terapeutico nell’ambito del progetto di messa alla prova, con particolare riferimento al coinvolgimento del minore in reati di natura sessuale.
La novità evolutiva dell’adolescenza è data dall’incontro con il territorio reale della sessualità. L’adolescente, nell’inizio della sua vita sessuale, incontra la possibilità di mettere in atto quanto la fantasia del bambino è andata prima elaborando. L’avere a che fare con la materia sessuale lascia aperti, per l’adolescente, margini di non pensabilità che si traducono, a volte, nelle modalità di un agire fase-specifico. Quando la modalità dell’agito prevale, arriva anche a configurarsi in atti illeciti.
L’espressione diretta dell’agire illecito nell’ambito della sessualità, sconfinando dallo spazio della fantasia, rappresenta una sorta di corto-circuito nel procedere della pensabilità della propria sessualità.
Le risposte penali ai reati degli adolescenti introdotte dal DPR 448/88 trovano fondamento nell’intenzione del legislatore di uscire dalla logica storicamente dominante di “sorvegliare e punire” e di costruire spazi che consentano di ridare senso alle azioni apparentemente insensate degli adolescenti.
In questa direzione le innovazioni del processo penale, tra cui soprattutto la messa alla prova, devono poter avviare un processo di trasformazione degli agiti in pensiero, dare spazio a una revisione delle scelte che l’adolescente ha messo in atto attraverso l’agire in una risposta alle questioni che il crescere propone e, in un certo senso, impone.
La messa alla prova non mira pertanto ad un’azione ri-educativa cioè ad una modifica del comportamento ma ha finalità educative. E’ la posizione del soggetto nel mondo che deve poter trovare altre modalità di elaborazione e di costruzione, anche attraverso la trama dei diverse rapporti umani. In questo senso dovrebbe intendersi la possibilità offerte il giovane di recupero sociale, conciliandola con l’esigenza della prevenzione generale e della prevenzione speciale. Certamente, quindi, una preoccupazione rilevante nella costruzione del progetto dev’essere quella di lavorare per la eliminazione della possibilità di recidiva. Considerate le caratteristiche dell’agire adolescenziale e le finalità educative della messa alla prova, bisogna quindi valutare gli strumenti e i percorsi che consentano di avviare e di portare avanti (e non necessariamente concludere) un processo di trasformazione.
Quando le risposte dell’adolescente, attraverso l’agito, restano immischiate nei meccanismi di negazione della soggettività dell’altro, come avviene nei reati a carattere sessuale, si tratta di delineare le condizioni e gli spazi che consentano di recuperare la pensabilità del processo psichico di crescita. La costruzione delle proprie condizioni di vita attraverso lo studio o il lavoro, le attività socialmente utili e la mediazione penale offrono inoltre un percorso visibile – anche e soprattutto all’imputato – e valutabile dell’impegno nei confronti dell’altro. Ciò consente di avviare concretamente, e coerentemente con analoga tendenza a privilegiare la via dell’agire, la possibilità di ricostruire e rispettare l’altrui soggettività e di procedere nella costruzione della propria.
Queste attività, che rappresentano una via indiretta e simbolica alla pensabilità delle relazioni con l’altro, possono avviare quei movimenti psichici che motivano una domanda di cura e di uno spazio specifico e delimitato per il lavoro psichico. Questo lavoro può accompagnare e potenziare i compiti previsti dalla messa alla prova, ma è difficilmente valutabile al di fuori dei criteri soggettivi e i suoi effetti possono verificarsi a lungo termine, ben oltre il periodo di sospensione del processo.
Perciò non è prescrivibile un percorso psicologico in assenza di una domanda soggettiva che, agganciandosi al transfert, permetta di avviare un lavoro psichico.
In questo senso la non piena adesione al lavoro psicologico non può costituire, di per sé, una valutazione negativa dell’esito della prova. Il comportamento del minore durante la prova va valutato complessivamente, in relazione a quelle che sono le sue possibilità in quel dato momento, promuovendo in lui una predisposizione al cambiamento e al passaggio dall’agito al pensato (...)".