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Penale, ordinanza 12.7.2007, est Maiga

Messa alla prova, presupposti, confessione, non è elemento preclusivo

Con questa ordinanza (cui è seguito un esito positivo della messa alla prova) il Tribunale ha ammesso alla prova gli imputati sebbene non vi sia stata una espressa ammissione dell'addebito. Il Tribunale ha pertanto svolto l'intera istruzione probatoria, motivando con la ordinanza in esame sul punto relativo alla sussistenza della responsabilità penale e, all'esito della stessa, ammettendo comunque gli imputati alla messa alla prova così motivando: "a questo proposito le relazioni dei servizi sociali offrono elementi di valutazione che confortano in merito alla concreta possibilità di formulare una prognosi positiva, stante la rilevata disponibilità dei minori a raccogliere le proposte degli operatori e gli stimoli alla riflessione (e ciò nonostante –soprattutto per quanto attiene al S.- alle serie problematiche del contesto famigliare di appartenenza), e, quindi, permettono di ritenere sussistenti i presupposti (di carattere soggettivo) per l’attivazione di quegli interventi: a fronte di ciò, le proteste di estraneità e la mancata ammissione degli addebiti non possono essere considerate (né la legge lo prevede)[1] un elemento preclusivo di quella possibilità ma, al contrario, deve costituire l’elemento attorno a cui costruire i progetti, offrendo a ciascuno degli interessati la possibilità di riflettere sulla propria condizione personale e famigliare, sulle pregresse condotte, sulle prospettive personali per il futuro, agevolando l’individuazione del percorso di vita più consono per le caratteristiche di ognuno, ed un proficuo ripensamento della presente vicenda giudiziaria, ponendosi quindi, quale obbiettivo prioritario, l’acquisizione da parte di ciascuno dei minori di una compiuta consapevolezza della presente vicenda, anche attraverso la previsione dell’attivazione di un’opera di mediazione con la persona offesa"

[1] A questo proposito si deve rammentare che la Corte Costituzionale, nella sent. n.125/95, pur riconoscendo l’”indubbio ‘peso’ che -in considerazione della natura e delle modalità di attuazione della misura- deve in concreto assegnarsi al parere del minore in ordine all'adozione del provvedimento”, ha chiarito che “il legislatore non ha condizionato il provvedimento de quo alla prestazione del consenso da parte del minore (né del pubblico ministero), ma ha rimesso al giudice la decisione circa l'opportunità di sospendere il processo al fine di valutare la personalità del minorenne all'esito della prova, prescrivendo soltanto che tale decisione sia adottata ‘sentite le parti’”.

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