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"Sembra mio figlio" (2018)

Sembra mio figlio

di Costanza Quatriglio 1

“Sembra mio figlio” narra la storia di Mohammad Jan Azad (Ismail nel film, interpretato dal poeta e giornalista Basir Ahang) che, con il fratello Hassan, è stato costretto dai talebani a fuggire dall’Afghanistan all’età di 9 anni ed è giunto in Italia dopo varie vicissitudini e traversie, dove ha svolto con molto impegno un percorso di regolarizzazione e inserimento. La sua reale esperienza di arrivo in Italia ed iniziale percorso di integrazione, in cui si dedica all’attività di interprete per i minorenni della sua etnia appena giunti nella capitale italiana e da cui è partita l’idea del film, è raccontata dallo stesso Mohammad Jan nel precedente documentario “Il mondo addosso” (2006) di Costanza Quatriglio, presentato alla prima edizione della Festa del Cinema di Roma. Giovane regista italiana contraddistinta da un forte impegno sociale, portatrice di messaggi universali e atemporali sull’identità, Costanza Quatriglio è già conosciuta per suoi precedenti lungometraggi come “L’isola” (2003), premiato alla “Quinzaine des realisateurs” di Cannes, e vari documentari tra cui “L’insonnia di Devi” (2001) sul delicato e sempre attuale tema dell’accesso alle informazioni sulle origini dei minori stranieri adottati. La regista ha presentato al 71° Locarno Festival il suo ultimo e coraggioso film nella sezione “Fuori concorso”, una delle sezioni che ha proposto le opere più interessanti.  

Ismail riesce con il tempo a rientrare in contatto telefonicamente con la madre, che però all’inizio non sembra riconoscerlo. In realtà la madre è stata costretta nel frattempo a risposarsi con un comandante militare che nulla sa dell’esistenza dei figli di lei nati da un precedente matrimonio, motivo per cui la madre di Ismail all’inizio finge di non sapere chi lo sta chiamando dall’Italia. Con il tempo, Ismail sarà costretto a comunicare con il marito della madre molto impositivo e rigido, solo dopo che lei gli avrà svelato la verità, e solo tramite il fratello maggiore Hassan, segnato da abusi non svelati. Tutto ciò spinge Ismail a partire per il Pakistan, un viaggio a ritroso per ritrovare la madre e quella parte di sé che aveva lasciato nel luogo da dove era fuggito da bambino, facendo i conti con l’assurdità della guerra e con la storia del suo popolo.

Ismail è di etnia hazara, che si ipotizza discenda dalle popolazioni della Mongolia con apporti caucasoidi, come appare dalla cultura, dalla lingua e dai tratti somatici. Alcuni ritengono che gli hazara discendano dall'armata di Gengis Khan che giunse in Afghanistan nel XII secolo, mentre per altri sono legati ai kushana, che costruirono i giganteschi Buddha della valle di Bamiyan, distrutti dalla barbarie talebana nel 2001. Nei secoli passati l’etnia hazara costituiva la maggiore etnia dell'Afghanistan, ma che a causa delle continue persecuzioni e discriminazioni, in ultimo da parte di talebani e di daesh, oggi rappresenta circa il 9% della popolazione afghana. Tutto ciò viene indirettamente richiamato dallo scorrere di immagini che nel loro silenzio consentono di percepire quanto sangue sia stato versato e quanto dolore sia stato inflitto a questo popolo.

Basir Ahang è stato scelto con un provino a Milano per interpretare Ismail, alter ego fictional di Mohammad Jan Azad. “Gli hazara in Italia sono pochissimi” spiega Basir Ahang “L’immigrazione è iniziata da poco, ci sono in tutto 2.000-3.000 persone. Fino al 2008 gli hazara si dirigevano verso l'Inghilterra e i paesi del Nord, oppure in Indonesia e Australia, dove c'è la comunità più forte e la lingua è stata riconosciuta lingua nazionale. Oggi gli hazara vivono soprattutto in Canada, Stati Uniti, Inghilterra, Germania, Austria, Norvegia e Svezia. In Italia ci scambiano per peruviani o ci chiamano afghani. Ma noi combattiamo da tutta la vita contro l'Afghanistan per il riconoscimento della nostra etnia”.

La regista riferisce a proposito del protagonista e del film: “Si tratta di un film sugli esseri umaniHo incontrato Jan mentre preparavo il documentario Il mondo addosso. Ho raccontato tante vicende di ragazzini, tra cui Jan, ed è proprio lui che mi ha permesso di conoscere la realtà dell'etnia hazara. Il film nasce da questo incontro tra esseri umani. Quando l'ho rivisto nel 2010, Jan mi ha raccontato di aver ritrovato la madre, che ora vive con lui a Roma, e abbiamo iniziato a progettare questo film quasi per gioco. Poi ho coinvolto Doriana Leondeff e abbiamo scritto il film mescolando realtà e finzione…Il finale non dà risposte, ma apre domande. La maternità non è solo quella biologica. Tutte le madri vedono nel protagonista il loro figlio, lui capisce che non potrà riconoscere la madre perduta, ma lei potrà riconoscere lui. Volevamo che non fosse solo una storia personale, ma parlasse di tutti i ragazzi in difficoltà, di tutte le storie di immigrazione. Girando ho provato una tensione fisica per via dell'enorme senso di responsabilità che provavo, ma la troupe mi ha aiutato molto. Quando accadono le magie devi solo essere felice. È un film che non dà risposte né certezze, ma pone delle domande.”

A proposito del film il politico, sociologo e critico musicale prof. Luigi Manconi ha dichiarato “la regista ha realizzato un film che parla di sentimenti profondi, un film in cui la crudeltà della vita acquista poesia.”  Girato in Italia, Croazia e Iran, con un cast di attori la cui selezione è stata realizzata in vari Pasi europei e una produzione altrettanto internazionale (Belgio, Croazia, Iran e Italia), si può dire che si tratta di un’opera transcontinentale. Da notare il cameo dell’attore e montatore di origini iraniane Babak Karini, nei panni di un trafficante di esseri umani, e la musica ben calibrata tra brani di vari generi e provenienze spazio-temporali, suoni e silenzi. A proposito si suoni e immagini, il lungometraggio è ricco di poesia e di patos, con primi piani su volti e sguardi che parlano molto di più dei loro silenzi e delle loro attese, e con immagini di forte impatto e con inquadrature che enfatizzano la bellezza e l’intensità di alcune scene (es. un momento di preghiera di un gruppo di donne e bambine afghane circondate da candele e petali sparsi sul selciato, così come l’incontro finale). Distribuito in Italia dal 20 settembre, da non perdere!

1di Joseph Moyersoen, giurista, formatore , referente relazioni esterne e cooperazione internazionale della Commissione per le adozioni internazionali, già giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Milano