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"Boyhood"

Recensione di Joseph Moyersoen del film di di Richard Linklater che ha vinto l’Orso d’argento al Festival del Cinema di Berlino 2014.

12 anni di vita di Mason (Ellar Coltrane) e della sorella Samantha (Lorelei Linklater) condensati in meno di tre ore, sono il risultato dell’ultima opera di Richard Linklater. I tempi cinematografici lasciano il campo ai tempi della vita reale, in un’opera che risulta interessante sia da un punto di vista tecnico che tematico.

Un cielo annuvolato e Mason bambino sdraiato sul prato con lo sguardo pensieroso rivolto oltre le nuvole, così si apre il lungometraggio sperimentale di Linklater. I protagonisti di “Boyhood” (in italiano “Giovinezza”, ma risulta più appropriato l’aver mantenuto il titolo originale inglese), oltre a Mason e Samantha, sono i loro genitori Mason Sr (Ethan Hawke) e Olivia (Patricia Arquette). La storia è quella di una famiglia americana come tante: la  fatica ad arrivare a fine mese, una separazione dolorosa che segna tutti i componenti e i tentativi faticosi e pieni di insidie da parte di entrambi i genitori, di ricostruirsi una nuova vita. Mason Sr  è un eterno Peter Pan, musicista sognatore e disoccupato, mentre Olivia è una donna positiva, dinamica e decisionista, ma oppressa dal peso delle responsabilità, divise tra lavoro e figli. Mason Sr e Olivia si separano quando i figli sono ancora bambini. Mentre all’inizio la cinepresa segue principalmente i percorsi dei figli attraverso i movimenti dei loro genitori, piano piano il suo occhio zumma sui ragazzi, lasciando sullo sfondo le vicende dei genitori.

Mason e Samantha crescono nel film come nella realtà. Passano dall’infanzia all’adolescenza, sperimentando tempeste familiari con le liti dei genitori e le loro scelte di vita sempre più diverse, frequenti traslochi che comportano altre separazioni da compagni e amici, ma anche turbamenti sentimentali con le prime uscite serali, le prime storie e delusioni amorose. Anche se i personaggi mancano di un profondo lavoro introspettivo, sono evidenti i traumi causati dalla separazione e dal conflitti dei genitori, le cui tracce si manifestano nella difficile costruzione della propria autostima e della propria identità in età adolescenziale. Sullo sfondo dei protagonisti, assistiamo ai cambiamenti culturali, di mode, abitudini e stili, nonché politici degli USA, dalla fine dell’epoca Bush Jr con gli attentati alle torri gemelle dell'11 settembre 2001, fino all'inizio della presidenza Obama.

Senza trucco né inganno, bensì solo con la magia del cinema, quest’opera è girata in 35 mm ed è realizzata in 39 giorni distribuiti in 12 anni. Infatti il cast di attori, la troupe e il regista, si sono ritrovati per 3-4 giorni ogni anno dal 2002 al 2013, quindi tecnicamente si tratta di un lavoro innovativo. “È stato come fare un grande atto di fede verso il futuro – spiega il regista - inevitabilmente ci sarebbero stati cambiamenti fisici ed emotivi. Ero sempre attento a rimanere fedele all'idea originale del progetto e alla realtà dei cambiamenti che avrebbero subìto gli attori lungo la strada. Il film è il frutto di una collaborazione con il tempo; e il tempo stesso a sua volta può diventare un ottimo collaboratore, sebbene non sempre prevedibile”. Richard Linklater è già conosciuto per la trilogia “Prima dell'alba” (1994), “Prima del tramonto” (2004) e “Before Midnight” (2013), con Ethan Hawke e Julie Delphy, caratterizzata dall’invecchiamento sia dei protagonisti dei film che degli spettatori, superando il concetto di cinema generazionale.

“Boyhood” ha vinto l’Orso d’argento al Festival del Cinema di Berlino 2014. La colonna sonora calata nell’epoca, la fotografia e la sceneggiatura non spiccano particolarmente, come lasciassero spazio ai protagonisti e soprattutto alle inquadrature, che fanno entrare il pubblico nel film in punta di piedi, fino a farlo sentire quasi partecipe della vita dei protagonisti.

E’ più di un romanzo di formazione questo period movie senza stereotipi, e risulta incomprensibile il divieto imposto ai minori di 17 anni nelle sale USA perché non vi sono né scene di violenza esplicita né scene di sesso, bensì solo qualche momento di tensione emotiva provocato dalla collera di un patrigno alcolizzato o dalla prepotenza di un compagno bullo. Più comprensibile sarebbe se il divieto fosse stato imposto per la scena in cui ai 15 anni di Mason il nonno regala un fucile.

A dominare il film è la quotidianità né banale, né sconvolgente, vista attraverso la crescita e il cambiamento fisico da un lato, la formazione dell’identità e del carattere dei protagonisti dall’altro, grazie ad una luce solare (le scene sono sempre estive) che li attraversa rivelando il loro sentire.

Un tentativo di raccontare la storia di Matteo (Alessio Boni) e Nicola (Luigi Lo Cascio), due fratelli in oltre 35 anni di vita (dal 1966 al 2003), dall’adolescenza all’età adulta, lo troviamo ne “La meglio gioventù” di Marco Tullio Giordana. In questo caso però i tempi cinematografici e non reali della pellicola si concentrano sulla storia personale e sull’impegno politico dei protagonisti.

Rivelatrice la frase dell’insegnante di Mason oramai adolescente, che ha trovato se stesso nell'amore e nel talento per la fotografia: “Tu hai un cuore grande Mason, segui il tuo cuore.”