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"Alì ha gli occhi azzurri"
recensione di Joseph Moyersoen del film di Claudio Giovannesi
Nader (Nader Sarhan) ha sedici anni e vive con i genitori e la sorella nella periferia di Ostia. E’ un immigrato di seconda generazione, nato in Italia da genitori egiziani mussulmani che si sono integrati, lavorando duramente per potersi stabilire in un modesto appartamento di periferia e mantenere gli studi ai figli. Ma Nader è molto diverso dai genitori: borioso, impulsivo e pieno di rabbia, è alla ricerca della propria identità; vive la giornata senza darsi limiti o regole di alcun genere, neppure rispetto ai dettami islamici e alla preghiera in Moschea; mantiene vivo solo il legame con Stefano (Stefano Rabatti) e gli amici di quartiere, nonché con la fidanzata italiana Brigitte che i genitori rifiutano. Nader ha occhi neri, nascosti dietro lenti colorate, come a volersi distinguere dagli altri e dare un’immagine di sé diversa, alterando il suo sguardo, ai confini e in bilico tra due culture e due età.
In una società omologata e consumistica del “tutto subito” ma senza un euro in tasca, l’amico Stefano inizia Nader alla delinquenza, portandolo con se in una rapina in farmacia, reato frequentemente commesso da minorenni sbandati e privi di prospettive, spesso provenienti da contesti ambientali a rischio come quelli delle periferie delle grandi città metropolitane. La fidanzata Brigitte è più la rappresentazione di un oggetto di conquista che un sincero legame affettivo, soprattutto perché tanto osteggiata dai genitori. Il contrasto coi genitori si fa duro, perché Nader non accetta la loro incondizionata pretesa di lasciare la fidanzata. Per questa ragione, in un quotidiano rientro tardivo notturno dopo l’orario consentito dai genitori, Nader viene chiuso fuori di casa perché non più “gradito”. Piuttosto che accettare le regole dei genitori e “mollare” la ragazza, Nader preferisce vagare per la città e cercare alloggi di fortuna presso il fratello, la fidanzata, l’amico o anche per strada. Inizia così per lui un percorso in cui lo stato d’animo ribelle e inquieto lo porta a commettere alcuni passi falsi, come l’accoltellamento di un coetaneo rumeno durante una rissa in discoteca, gesti di cui è inevitabilmente costretto a pagare lo scotto.
Il regista Claudio Giovannesi è alla a sua terza opera dopo “La casa sulle nuvole” (2008), storia di due fratelli adolescenti, e il documentario “Fratelli d'Italia” (2009), dedicato alla storia di tre ragazzi - di cui uno è proprio Nader - aventi in comune un legame con un altro paese e un’altra cultura.
Con uno stile neorealista anche se a volte stereotipato e da “docufiction” (camera a mano, presa diretta, illuminazione naturale e ritmo lento) con l’intenzione di “limare il confine tra realtà e finzione”, Giovannesi trasforma Nader in un personaggio che segue con la telecamera per una settimana in questo suo percorso formativo/trasformativo. Sono sette giorni cruciali per Nader, in cui deve trovare un'identità e una tregua, se non la soluzione al suo conflitto interiore ed esteriore tra le due culture islamica e occidentale, tra restare bambino o diventare adulto. In sette giorni Nader, straniato dalla condizione di “cittadino ibrido”, cresce provando ad avvicinarsi ad entrambe le culture, cercando di trasformare la duplicità in ricchezza.
Molti sono gli spunti di riflessione che il film mette sul piatto, ma che sta al pubblico cogliere: il passaggio dall’infanzia all’età adulta, i temi della relazione con l’altro sesso, delle bande giovanili, della devianza, dell’immigrazione, della multiculturalità negata, del conflitto tra culture e popoli, dell’intolleranza e del razzismo anche all’inverso o tra le diverse etnie. Tutti temi molto attuali trattati ultimamente da molti registi, si ricorda ad esempio “L’amore buio” di Antonio Capuano, “Io e te” di Bernardo Bertolucci, “Miracolo a Le Havre” di Aki Kaurismaki, “Welcome” di Philippe Lioret (cfr le rispettive recensioni nel presente sito).
Si segnala anche la fotografia di Daniele Ciprì, che mette in luce la drammatica trascuratezza degli ambienti e la scarsità di prospettive dei giovani protagonisti.
Il titolo del film è un omaggio del regista a Pier Paolo Pasolini, che nel 1965 pubblicò un volume di opere dal titolo “Alì dagli occhi azzurri”. Nel racconto in versi che dà il titolo al volume, Pasolini spera nella potenzialità rivoluzionaria dei popoli sfruttati del terzo mondo. Si tratta di una poesia del 1964 che racchiude come una profezia, il senso di tutte le attuali vicende del mondo. Quarant’anni prima Pasolini è riuscito a vedere i vari “Alì dagli occhi azzurri … scendere da Algeri, su navi a vela e a remi … sbarcare a Crotone o a Palmi, a milioni, vestiti di stracci asiatici, e di camicie americane … ”, come ricorda l’opera qui sotto riportata:
…
Alì dagli Occhi Azzurri
uno dei tanti figli di figli,
scenderà da Algeri, su navi
a vela e a remi. Saranno
con lui migliaia di uomini
coi corpicini e gli occhi
di poveri cani dei padri
sulle barche varate nei Regni della Fame. Porteranno con sè i bambini,
e il pane e il formaggio, nelle carte gialle del Lunedì di Pasqua.
Porteranno le nonne e gli asini, sulle triremi rubate ai porti coloniali.
Sbarcheranno a Crotone o a Palmi,
a milioni, vestiti di stracci
asiatici, e di camicie americane.
Subito i Calabresi diranno,
come da malandrini a malandrini:
«Ecco i vecchi fratelli,
coi figli e il pane e formaggio!»
Da Crotone o Palmi saliranno
a Napoli, e da lì a Barcellona,
a Salonicco e a Marsiglia,
nelle Città della Malavita.
Anime e angeli, topi e pidocchi,
col germe della Storia Antica
voleranno davanti alle willaye.
Essi sempre umili
Essi sempre deboli
essi sempre timidi
essi sempre infimi
essi sempre colpevoli
essi sempre sudditi
essi sempre piccoli,
essi che non vollero mai sapere, essi che ebbero occhi solo per implorare,
essi che vissero come assassini sotto terra, essi che vissero come banditi
in fondo al mare, essi che vissero come pazzi in mezzo al cielo,
essi che si costruirono
leggi fuori dalla legge,
essi che si adattarono
a un mondo sotto il mondo
essi che credettero
in un Dio servo di Dio,
essi che cantavano
ai massacri dei re,
essi che ballavano
alle guerre borghesi,
essi che pregavano
alle lotte operaie ...
… deponendo l’onestà
delle religioni contadine,
dimenticando l’onore
della malavita,
tradendo il candore
dei popoli barbari,
dietro ai loro Alì
dagli Occhi Azzurri - usciranno da sotto la terra per uccidere –
usciranno dal fondo del mare per aggredire - scenderanno
dall’alto del cielo per derubare - e prima di giungere a Parigi
per insegnare la gioia di vivere,
prima di giungere a Londra
per insegnare a essere liberi,
prima di giungere a New York,
per insegnare come si è fratelli
- distruggeranno Roma
e sulle sue rovine
deporranno il germe
della Storia Antica.
Poi col Papa e ogni sacramento
andranno su come zingari
verso nord-ovest
con le bandiere rosse
di Trotzky al vento ...
Joseph Moyersoen