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“Cafarnao - Caos e miracoli” (2018)

Cafarnao

di Nadine Labaki 1

Quartiere periferico di Beirut, che potrebbe essere il quartiere periferico di molte altre città del mondo: un crocevia di vicoli circondati da edifici semi abbandonati e pericolanti e da baracche fatiscenti. Conosciamo subito il piccolo protagonista, mentre un medico lo sta visitando per determinarne l’età: tra i 12 e i 13 anni, perché Zain (interpretato da Zain Al Rafeea) non è stato registrato all’anagrafe, non ha documenti d’identità e non conosce la propria età. Zain compare davanti al giudice, ma questa volta non per un reato commesso, bensì perché ha intentato una causa contro i propri genitori per averlo messo al mondo, sapendo già di non potergli offrire cure, sicurezza e affetto ma solo miseria umana e materiale. La pellicola è un continuo flash back, che ripercorre gli ultimi mesi della vita del piccolo protagonista, fino all’udienza del processo contro i genitori.

Zain è un ragazzino che durante il giorno si divide tra la vendita per strada di gomme da masticare, bevande e fazzoletti con le 4 sorelline, e l’attività di fattorino nella drogheria di Assan, per il quale consegna la spesa e bombole di gas ai vicini. Nel poco tempo libero rimanente, gioca alla guerra e fuma con gli altri ragazzini del quartiere. Il piccolo protagonista vorrebbe andare a scuola, ma i genitori, per le loro difficoltà economiche nel mantenere i sei figli, gli impediscono anche solo di pensarci. Zain è molto legato alla sorella Sahar di 11 anni. Per evitare che venga data in sposa ad Assan, fa di tutto perché i genitori non scoprano che ha già il ciclo. Ma mentre Zain sta progettando la fuga con Sahar, il padre riesce a rapirla e a portarla direttamente dal promesso sposo Assan. Così Zain scappa di casa da solo e nel suo vagare alla ricerca di qualcuno e qualcosa, incontrerà diversi personaggi tra cui la giovane ragazza etiope Rahil, costretta a lavorare fino allo sfinimento per potersi comprare il rinnovo del permesso di soggiorno oramai in scadenza (entrambi falsi). Rahil, che divide la sua baracca con il proprio neonato Yonas fra detriti e ruggine, accoglie Zain che promette di occuparsi del neonato durante l’orario lavorativo della madre. Quando quest’ultima una notte non fa rientro nella baracca, l’intelligenza e l’arguzia di Zain si scatenano: con uno skateboard e delle pentole costruisce un passeggino per potersi portare dietro Yonas, e per guadagnare da (soprav)vivere ad entrambi vende ai giovani drogati della zona del tramadol diluito in acqua di mare. È evidente come sia difficile per due bambini prendersi cura di sé stessi, in un contesto così insidioso e pericoloso e caotico. Ma nonostante questi stratagemmi la situazione precipita e Zain si vede costretto a lasciare il piccolo Yonas al trafficante che avrebbe dovuto procurare il rinnovo del permesso di soggiorno a Rahil. Preso e portato in carcere, ascoltando una trasmissione TV, Zain decide di contattarla per gridare quello che intende fare. Uscendo dalla cella per presentarsi all’udienza davanti al giudice, Zain incrocia Rahil. Ma la testimonianza di Zain contro il trafficante consentirà di riunire Rahil a Yonas, prima che il neonato venga venduto per l’adozione illegale o il traffico di organi?  

Il titolo della pellicola, “Cafarnao”, oltre ad essere il nome dell’antica città della Galilea nella quale Gesù compì diversi miracoli, significa “caos” o “luogo pieno di disordine e confusione”. Proprio quel forte senso di caos che rappresentavano le parole e i temi scritti su una lavagna dalla regista prima di iniziare la lavorazione del lungometraggio, e che nell’opera riescono a trasmettere sia il contesto di vita che le emozioni del piccolo Zain.

La regista, attrice e sceneggiatrice libanese Nadine Labaki, già conosciuta per “Caramel” e “E ora dove andiamo?” ci presenta il suo terzo lungometraggio, che ha ottenuto una candidatura in vari festival cinematografici internazionali: ai Golden Globes, agli Oscar come miglior film straniero (prima regista donna libanese), ai BAFTA, ai Cesar e ai Critics’ Choice Award, e ha vinto il premio della Giuria al Festival di Cannes 2018, dove ha ricevuto una standing ovation di oltre 15 minuti. Sono molti i temi affrontati da questa pellicola: dalle responsabilità genitoriali, ai diritti dell’infanzia negati, dall’immigrazione all’emarginazione sociale, dal razzismo alla condizione femminile; ma sono molti anche i sentimenti che la regista ha saputo ben descrivere, dimostrando una profonda empatia con i personaggi che si trovano a vivere situazioni di disagio sociale: sentimenti negativi come miseria, rabbia, vendetta e disperazione, ma anche positivi come amicizia, fiducia, amore e umanità.

Colpiscono la capacità espressiva e la verosimiglianza dei personaggi interpretati tutti da attori non professionisti. Per esempio il piccolo attore che interpreta Zain - che a qualcuno potrebbe ricordare “Huckleberry Finn” di Charles Dickens per il suo coraggio e astuzia, ma anche il protagonista di “Ladri di biciclette” di Vittorio De Sica - ha fatto realmente il fattorino all'età di 10 anni e Cedra Izzam, la sorella undicenne Sahar, è una siriana rifugiata sorpresa realmente a vendere gomma da masticare per le strade di Beirut.

Fra le frasi più emblematiche di Zain, riferendosi ai genitori: “Che cosa ricorderò oltre gli insulti, le botte, gli schiaffi?” e riferendosi a Yonas: “È così nero, perché sua mamma beveva tanto caffè”.

Un film da vedere, con un protagonista che sprigiona energia emotiva e positiva, senza mai eccedere in compassione o cinismo. Un film che lascia tanti segni e tanti punti interrogativi.

1di Joseph Moyersoen, giurista, referente relazioni esterne e cooperazione internazionale della Commissione per le adozioni internazionali, già giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Milano