salta al contenuto

"L'Amore Buio"

Recensione di Joseph Moyersoen, giudice onorario presso il Tribunale per i minorenni di Milano, dell'ultimo film di Antonio Capuano presentato alla 67^ Mostra del cinema di Venezia.

Anche l’ultimo lungometraggio di Antonio Capuano, presentato nella sezione Giornate degli autori della 67° Mostra del cinema di Venezia, indaga sulla realtà degradata e sulle problematiche giovanili della Napoli odierna.

Dopo “Vito e gli altri”, “Pianese Nunzio 14 anni a maggio” e  “La guerra di Mario”, ecco sul grande schermo “L’amore buio” incentrato su un caso di violenza sessuale di gruppo perpetrato da quattro minorenni ai danni di una coetanea.

Ciro e tre suoi amici dei quartieri “caldi” napoletani trascorrono una classica domenica estiva tra spiaggia sovraffollata di corpi ammassati e annoiati al sole, tuffi spericolati per mettersi in mostra, mettersi alla prova e confrontarsi con i propri limiti, una cena con pizza e birra rigorosamente non pagata. Poi scorrazzando in centro in scooter durante la notte – da segnalare le riprese con la musica sparata a mille e gli scatti con i cellulari in movimento che disorientano e confondono – i quattro incontrano una coppietta in auto e, una volta che il ragazzo di lei se ne va lasciandola sola, circondano la ragazza e la trascinano in un garage dove abusano di lei. Il giorno successivo Ciro, preso dal rimorso, si costituisce e denuncia i suoi tre amici, con cui si ritrova nel carcere minorile di Nisida. Entrambi confinanti nel proprio mondo, mentre inizia il calvario di Irene che è costretta a vivere con gli effetti traumatici della violenza subita e con gli incubi ricorrenti che non le danno tregua, in carcere Ciro deve fare i conti non solo con i suoi rimorsi e con il nuovo contesto, ma anche con l’odio degli ex amici per averli denunciati e delle loro famiglie che mettono in atto ogni angheria nei confronti dei suoi familiari.

Fin qui il film è ben girato, con un ritmo incalzante fino al gesto estremo, e successivamente con molti primi piani sui due protagonisti per seguire il rispettivo tortuoso percorso di sopravvivenza e recupero.

Poi purtroppo Capuano parte per la tangente, perché costruisce un poco credibile Ciro, che pur essendo introverso e chiuso inizia ad esprimersi in una varietà di modi (disegno, scrittura dei propri pensieri, poesia, musica e lavoro della creta), come una poco credibile Irene che affronta con successo la scuola e la maturità pur essendo sempre ripresa isolata nel suo comprensibile dolore e distante dal suo mondo medio borghese in cui si sente imprigionata e da cui vorrebbe fuggire. A ciò da aggiungere un’altrettanto poco credibile corrispondenza inizialmente unilaterale di  Ciro ad Irene all’insaputa di tutti, che diventa sempre più fitta e intensa fino a portare ad un finale decisamente inatteso.

Il tema è di grande attualità, soprattutto rispetto ai reati sessuali perpetrati da gruppi di ragazzi, e pertanto è importante che venga trattato anche dal cinema. Tuttavia delude le aspettative per l’eccesso di silenzi che vogliono dire qualche cosa e la mancanza della vitalità popolare che hanno caratterizzato i precedenti lavori.

Sicuramente sarebbe più utile ed opportuno quantomeno accennare al funzionamento della giustizia minorile e ai percorsi di recupero che questa consente di attivare proprio in questi casi. Infatti è totalmente assente il processo, tant’è che non è molto chiaro quando la permanenza in carcere passa dalla misura cautelare all’esecuzione della pena. Così come totalmente assenti i servizi, se si esclude il personale carcerario e la figura di una improbabile psicologa interpretata da Valeria Golino.

Da segnalare la figura del padre di Irene, ultima interpretazione del bravissimo e purtroppo da poco scomparso Corso Salani e la fotografia che evidenzia a tratti luci ed ombre dei personaggi e degli ambienti in cui sono costretti a muoversi.


Joseph Moyersoen